Quando un’azienda decide di investire nel miglioramento della Customer Experience, non sempre il risultato è quello atteso. Nonostante si impegni con tutte le sue energie a elevare la qualità del servizio, la preparazione della forza vendita, la rapidità del customer service, l’impatto finale sul cliente sembra essere inferiore alle aspettative. E questo a volte porta ad abbandonare il programma.
E se invece fosse un problema di percezione?
Se a mancare, insomma, fosse la comunicazione?
È normale che nel disegnare la Customer Experience l’azienda si concentri su aspetti pratici e concreti, nella convinzione che siano quelli che - dal punto di vista del cliente - fanno davvero la differenza. Eppure trascurare la comunicazione - sia interna che esterna - rischia di rendere questi sforzi invisibili, o di non generare la trazione interna fondamentale per il successo dell’iniziativa.
È infatti la comunicazione a coinvolgere, ad amplificare e soprattutto a dare un senso coerente a un sistema articolato e complesso com’è la customer experience.
In alcuni casi, lo scollamento tra esperienza e comunicazione è il riflesso di un’organizzazione aziendale ancora troppo “a silos”, in cui le funzioni marketing, comunicazione ed HR vengono attivate solo in alcuni momenti specifici.
È invece importante che queste figure non solo siano da subito al tavolo, ma che abbiano ruolo centrale nel guidare il processo per garantirne la coerenza.
Customer Experience e comunicazione interna
Trasformazione interna e Customer Centricity
Chiunque abbia avviato un processo di miglioramento della CX ha sperimentato sulla propria pelle come il primo pubblico da portare a bordo sia proprio quello interno. Una Customer Experience eccellente, infatti, non si ottiene solo rivedendo i processi in modo ingegneristico, ma nasce inevitabilmente dal coinvolgimento delle persone, e in particolar modo dal miglioramento della loro Customer Centricity.
Il termine “Customer Centricity” identifica un set di tratti attitudinali individuali (empatia, reattività, affidabilità e rassicurazione), che sono fondamentali perché il cliente sia messo realmente al centro di ogni scelta. Questa forma mentale non può essere introdotta per policy (provate a ordinare a qualcuno di essere più empatico!) ma deve essere sviluppata da ciascuno con convinzione. E questo non può avvenire se non attraverso una buona comunicazione interna.
La comunicazione interna, quindi, non ha il ruolo - tutto sommato banale - di “informare” le persone dell’azienda sul cambiamento in atto: questo è necessario, certo, ma non sufficiente. Anzi, una semplice comunicazione top-down su questi temi rischia persino di essere percepita come un’imposizione e di creare resistenze, con il risultato di isolare il team di CX.
Se le persone non sono intimamente convinte della bontà del cambiamento, se non lo considerano in linea con i propri valori e con quelli dell’azienda, aderiranno solo formalmente e determineranno il fallimento dell’iniziativa.
Sfruttare la comunicazione interna per trasformare la customer experience
Date queste premesse, è intuitivo che la comunicazione interna non debba essere solo informativa, ma valoriale. Il programma di Customer Experience non può essere presentato come una delle tante iniziative in corso, ma piuttosto come la messa in atto dei valori più profondi del brand.
È inoltre importante che la comunicazione contenga elementi di interattività (test, giochi, ambassador program ), che permettano alle persone dell’azienda di “appropriarsi” del processo di cambiamento.
Obiettivo primario, insomma, prima ancora di veicolare regolamenti e best practice, è quello di far evolvere gli atteggiamenti, se necessario anche prevedendo percorsi individuali.
Informare è il secondo step: è importante che tutta l’organizzazione abbia una visione chiara degli obiettivi di programma e soprattutto della promessa che il brand fa ai suoi clienti. Sapere cosa si aspettano i clienti rende più semplice agire di conseguenza.
Customer Experience, brand e comunicazione esterna
Modelli di percorso utente: la CX Wheel e il Messy Middle
Una buona Customer Experience si articola in molti momenti e touchpoint differenti. Il modello della “CX Wheel” di Forrester individua sei diverse fasi: scoperta, esplorazione, acquisto, utilizzo, assistenza e interazione, solitamente gestite da diverse funzioni all’interno dell’azienda (e già qui si profila un primo problema). Nel modello della CX Wheel, quindi, il cliente è raggiunto dalla comunicazione del brand, si informa su canali sia proprietari che di terze parti, si decide finalmente ad acquistare il prodotto o servizio, lo usa, si rivolge all’assistenza se ne ha bisogno, e poi condivide la sua esperienza. È una ruota, perché i clienti ciclicamente rientrano nel percorso attraverso la comunicazione.
La questione si complica ulteriormente se integriamo alla CX Wheel il modello del “Messy Middle”, elaborato e proposto nel 2020 da Google, che contraddice la linearità delle fasi pre-acquisto (scoperta ed esplorazione), suggerendo piuttosto un percorso “ingarbugliato” in cui l’utente rimbalza tra siti, recensioni, visite in negozio e molti altri touchpoint.
È evidente la difficoltà di “disegnare” un’esperienza utente coerente e soddisfacente in uno scenario così complesso. Ogni cliente segue percorsi diversi, non lineari e si trova a interagire con parti diverse dell’azienda, che a volte lavorano con logiche e metriche di successo diverse, così come con soggetti esterni all’azienda che fungono da intermediari.
È qui che entra in gioco il concetto di brand, che è invece definito proprio dalla sua estrema coerenza su tutti i touchpoint. Intendiamo in questa sede il brand come concetto intangibile e condiviso, che identifica l’azienda nella mente del cliente.
È proprio lavorando sul brand che la Customer Experience può svilupparsi appieno.
Brand Experience e Customer Experience
Il brand offre esso stesso un certo tipo di esperienza. Non a caso si parla di “brand experience” come la somma di tutte le interazioni del cliente con il brand. È un’esperienza sia sensoriale (immagine, colori, suoni, profumi) che emotiva (tono di voce, storytelling) che accompagna il cliente in tutte le fasi del suo percorso.+
Obiettivo di una buona brand experience è quello di garantire un’impronta emotiva coerente.
La differenza con la customer experience è sottile. La customer experience si concentra su fattori che influenzano materialmente l’utente. Quanto tempo impiega il sito a caricare? Posso scegliere l’ora di consegna del pacco? Quanta fila devo fare per i camerini? Entro quanto mi risponde il servizio clienti? E soprattutto, si ricorda il mio nome?
Una differenza sottile perché anche fattori così concreti hanno un impatto emotivo, fondendosi così con l’esperienza di brand. Un customer service che mi fa sorridere o un packaging frustrante possono avere risvolti emotivi più rilevanti e duraturi di quelli pratici.
Dal punto di vista del cliente, del resto, questi due piani non sono affatto distinti.
Valorizzare i touchpoint più trascurati con la comunicazione: l’esempio di IKEA
Quando si parla di branding, ci si riferisce generalmente a un certo tipo di comunicazione di alto livello, puramente valoriale, come ad esempio gli spot.
In realtà, il brand è costruito anche (soprattutto, forse) dalle micro-interazioni che avvengono nei touchpoint più trascurati, e in cui la comunicazione deve attivamente scegliere di entrare.
Un caso di scuola in questo senso è quello di IKEA, che da sempre traspone i propri valori di brand (amichevole, schietto, frugale, svedese) in tutti gli step del percorso utente. Prima di tutto durante la visita in negozio, con allestimenti “parlanti”, che fanno vivere il tono di voce del brand attraverso segnali e cartelli, ma che al tempo stesso migliorano l’esperienza del cliente riducendone l’incertezza o l’imbarazzo (quello che ci aspetteremmo da un brand “amico”). Non c’è angolo di uno store IKEA che non comunichi: dalla macchina del gelato ai bagni, dalle casse ai parcheggi.
Ma l’esperienza prosegue a casa, nel momento spesso difficile del montaggio. Oggi diamo per scontata la presenza dell’omino dei manuali IKEA, diventato una vera icona (e ampiamente parodiato), ma la sua presenza rassicurante è un’estensione della brand experience. Lo stesso vale per moltissimi altri touchpoint in cui la comunicazione interviene per “regolare” lo stato emotivo del cliente, evitando che sia influenzato solo dal contesto (es. lo store è affollato, non trovo la vite, o magari non trovo parcheggio).
Questo evidenzia l’importanza di un tono di voce definito e costante, ma anche della consapevolezza dello stato emotivo del cliente in quel dato momento e dell’impatto che la comunicazione può avere su di esso .
Il brand come promessa: l’esempio di Ryanair
Nella logica circolare dell’esperienza, la comunicazione non è però solo un accompagnamento dell’esperienza, ma la anticipa: ogni brand è anche promessa di un certo tipo di customer experience ed è importante che promessa e delivery coincidano, che questo avvenga in alto o in basso.
Ryanair, ad esempio, lo sa bene: la sua comunicazione, sia in advertising che sui social, punta spesso ad abbassare scherzosamente le aspettative. A una cliente che su Twitter si lamenta perché il suo posto non c’è il finestrino, il brand risponde evidenziando che sì, c’era, e cerchiando una minuscola apertura nel portellone. Potrebbe sembrare una strategia autolesionista, ma così non è: la customer experience di Ryanair è quella di un low-cost estremo, spesso travagliata, di certo non comoda. Eppure, non ci sorprende: è perfettamente allineata alla promessa di brand.
https://t.co/FpqhehcenM pic.twitter.com/skrOseKRSl
— Ryanair (@Ryanair) September 12, 2022
Alzare le aspettative con la comunicazione è relativamente facile, ma è altrettanto facile deluderle con la customer experience: per questo i due piani devono necessariamente dialogare.
Integrare la comunicazione nella CX
Perché la comunicazione porti i suoi benefici al programma di CX, è importante che venga da subito considerata come una delle aree di lavoro. Innanzitutto, la comunicazione interna: è bene che il team di CX prepari con largo anticipo una campagna interna, strutturandola come percorso di avvicinamento e non come semplice annuncio. In questo caso sarà necessario coinvolgere da subito i responsabili della funzione People. In termini di comunicazione esterna, invece, il Brand e il Marketing dovranno lavorare a stretto contatto con il Team di CX già in fase progettuale, sia per allineare l’esperienza ai valori e messaggi di brand che per condividere gli stessi user journey.