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The stream of the Arkage

Come cambiano i messaggi di brand purpose nella pandemia?

Picture of Andrea Ciulu

di Andrea Ciulu

10 giugno 2020

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Prima che esplodesse la pandemia, il concetto di brand purpose era probabilmente uno dei più popolari e dibattuti nel mondo della comunicazione. L’idea che i brand dovessero prendere posizione sulle cause importanti del nostro tempo era ormai diventata di dominio comune. Alcuni brand avevano già iniziato a comunicare - se non a riposizionarsi - in una chiave sostenibile e positiva, mentre altri si interrogavano su quale fosse il modo migliore di farlo.

 

Il COVID-19, però, ha cambiato le cose. Improvvisamente, l’emergenza sanitaria ha messo in discussione le nostre priorità, sottoponendo l’idea di brand purpose a una forte pressione incrociata.

I due fattori di pressione sul purpose

 

A dirla tutta, sono due i fattori che esercitano pressione sull’idea di brand purpose e, di conseguenza, sui brand che stanno provando a svilupparla.

 

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Il primo fattore è quello dello zeitgeist, lo spirito dei tempi. In altre parole, le parole chiave che guidano la comunicazione collettiva. Da un giorno all’altro, l’umanità ha smesso di parlare di riscaldamento globale, povertà e discriminazione e ha iniziato a parlare di coronavirus, mascherine e igienizzante per le mani. Per i brand che puntano a essere parte della conversazione questo ha complicato le cose.

Il secondo fattore è quello dell’economia: messi di fronte alle conseguenze di una crisi tanto improvvisa quanto devastante, alcuni brand si sono trovati costretti all’angolo. Come conciliare iniziative virtuose con la necessità di riordinare i conti nell’immediato? La difficoltà di gestire coerentemente valori, azioni e comunicazione ha spinto alcuni a commettere dei passi falsi. 

I brand hanno reagito a queste spinte in tre modi.

1 - Contraddizione 

Per alcuni brand, la rapidità e la portata del fenomeno sono state veramente troppo da gestire. Sotto la spinta economica, la coerenza valoriale è stata accantonata a favore di misure tampone, considerate più urgenti. In questo caso si è creata una contraddizione. In questi casi, però, il danno in termini di immagine è assicurato.

Prendiamo l’esempio di Everlane, un brand di abbigliamento che ha fatto dell’etica il suo elemento differenziante. Everlane comunica da sempre il suo rispetto dei lavoratori nelle sue fabbriche in Cina o in Vietnam e la trasparenza dei prezzi.

 

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Poco dopo l’esplosione della pandemia, però Everlane ha pensato bene di licenziare centinaia dei suoi lavoratori, proprio nel momento in cui questi si stavano strutturando in sindacati.


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Il netto contrasto tra comunicazione e azioni ha creato un dibattito intorno al brand in cui si è inserito persino il senatore Bernie Sanders.

 

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Questo tipo di attenzione farebbe male a qualunque brand, figuriamoci a un brand che fa dell’eticità il suo elemento differenziante.

2 - Appiattimento 

 

Per restare rilevanti, molti brand hanno invece scelto di adeguare il loro messaggio ai tempi. Questo è avvenuto soprattutto sotto la spinta dello zeitgeist: se le persone non vogliono sentir parlare di riscaldamento globale, parliamo d’altro.

Uno dei temi più battuti è stato quello del sostegno a medici e infermieri.

 

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Questo ha portato a un affollamento insostenibile dello spazio comunicativo, con troppi brand concentrati a dire le stesse cose, spesso faticando a trovare un punto di intersezione tra i propri prodotti / servizi e la tematica.

Una reazione naturale, che nasce da un ragionamento a breve termine. Efficace per conservare spazio mediatico ed engagement, ma a un costo: confondere le acque. 

3 - Perseveranza

 

Alcuni brand, invece, hanno scelto di resistere alle pressioni e di tenere il punto sul proprio brand purpose, trovando il modo di collegarlo alla crisi in corso.

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È il caso di Durex, che con la sua campagna Let’s not go back to normal ha saputo ribaltare la discussione sul ritorno alla normalità per riportare l’attenzione sul suo brand purpose: promuovere la salute sessuale e combattere abitudini e stereotipi che la mettono a rischio.

 

Stessa strategia ha adottato Stella McCartney, che ha celebrato l’Earth Day con una maxi formato in una Piccadilly Circus praticamente deserta per il lockdown. Un modo per ricordare a tutti che i temi ambientali non sono stati messi in pausa.
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Si tratta di una strategia coraggiosa ma efficace. I brand che l’hanno percorsa sono riusciti a emergere dal rumore di fondo con messaggi diversi e memorabili. Al tempo stesso sono riusciti a non spezzare il filo della propria comunicazione di purpose, un filo che oggi sarà difficile ritrovare per i brand che al contrario l’hanno abbandonato.

I brand perseveranti si trovano quindi avvantaggiati ora che la nebbia del COVID si abbassa e altri temi (lo vediamo già con le rivolte per la morte di George Floyd) tornano a dominare l’agenda mondiale.

 

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