Netflix è forse il migliore esempio di come i dati possano aiutare la creatività, in tutte le sue fasi. O meglio, è il migliore esempio di come è possibile fare creatività basata sui dati.
Prima che gli scandali facessero sparire Kevin Spacey dalle scene, la serie tv House of Cards - prodotta da Netflix - era universalmente considerata un esempio di coraggio creativo, una deviazione da tante formule “sicure” e rodate. Premiata, peraltro, da un successo di pubblico che ha consacrato Netflix come creatrice di contenuti originali.
A ben vedere, però, House of Cards nasceva con le spalle più coperte di tanti altri prodotti: a garantire il suo successo c’erano i dati, tantissimi dati: quelli che Netflix, in qualità di content platform, aveva raccolto sui gusti dei suoi utenti. E questi dati suggerivano, con una correlazione fortissima, l’esistenza di un pubblico appassionato sia di Kevin Spacey che di David Fincher. E dicevano che queste persone avrebbero voluto proprio un prodotto come House of Cards.
Il resto lo sapete. Netflix oggi sforna un successo dopo l’altro (e anche alcuni fallimenti).
E buona parte di questo successo lo deve ai dati, veri numi tutelari della creatività. Tanto che ha creato il Netflix TechBlog solo per presentarci le sue soluzioni tecnologiche.
1. Netflix usa i dati per generare insight
In ogni processo creativo, l’insight è l’elemento fondamentale, quello che distingue un prodotto di successo da un fallimento.
Abbiamo visto l’importanza che hanno avuto i dati nel generare l’insight alla base di House of Cards. Netflix applica lo stesso tipo di approccio a tutti i suoi prodotti. Quello che Netflix riesce a fare è definire decine di migliaia di micro-generi, individuati algoritmicamente a partire da un sistema di tagging molto dettagliato. Del tagging, per ora, si occupano gli umani. Sono loro a capire se un film è “romantico” o se il protagonista è “moralmente travagliato”. Ma sono le macchine a combinare questi tag, confrontarli e individuare micro-generi, che comprendono magari solo 4 o 5 titoli. Molto più specifici delle macrocategorie “horror” o “action”, i microgeneri di Netflix sono, ad esempio:
- Film dell’orrore con un bambino malvagio
- Gangster movie cinesi romantici
Qui potete scorrerne un po’ per conto vostro. Questo sistema diabolico di archiviazione ha ovvi vantaggi per quanto riguarda i consigli che vengono dati all’utente (Netflix sembra conoscervi molto bene) ma offrono anche insight preziosi per chi sta studiando un nuovo prodotto. Detto altrimenti: se so che esiste un pubblico per i film dell’orrore con un bambino malvagio, lavorerò in quella direzione.
Questo spiega perché, rispetto a tanti polpettoni blockbuster prodotti in modo tradizionale, i titoli Netflix dividano così tanto il pubblico tra appassionati e detrattori (pensate, ad esempio, a The OA).
Applicando la stessa logica alla comunicazione, i dati possono aiutarci a identificare micro-target molto specifici, guidando la creatività in modo molto efficiente.
2. Netflix usa i dati per velocizzare i task ripetitivi
Diciamoci la verità: anche nella magia del lavoro creativo esistono task che svolgiamo in modo quasi automatico, applicando un set di regole predefinite. Il processo è spesso meccanico, anche se non sempre ce ne accorgiamo.
Tra i task che rientrano in questa categoria c’è la selezione di immagini. Se per la cover di un magazine vi serve ancora un buon photo editor, immaginate di dover selezionare dei frame di anteprima per tutti i titoli Netflix. Finirete per applicare una serie di regole piuttosto semplici (regola dei terzi, contrasti, espressioni dei protagonisti, composizione). Detto tra noi, potrebbe farlo anche una macchina. E infatti, Netflix ha creato AVA: un insieme di strumenti e algoritmi che permettono di individuare rapidamente, tra i circa 9 milioni di frame che una serie di media durata contiene, le 4-5 immagini utili per la promozione. Come nel caso degli insight, sono gli umani a definire le regole e sono gli umani a scegliere - nella preselezione effettuata da AVA - i visual vincenti. Insomma, non parliamo di una piena automatizzazione. Ma i risultati, che potete vedere qui sotto, sono piuttosto sconcertanti:
Il tempo liberato da strumenti come AVA permette di dedicarsi a compiti più creativi e umani. Per capire meglio come funziona, potete leggere la descrizione che ne dà la stessa Netflix.
3. Netflix usa i dati per organizzare la produzione
Mettetevi nei panni di un responsabile di produzione di Netflix. Avete il mondo a vostra disposizione, ma questo non fa che moltiplicare e complicare le decisioni che dovete prendere. Potreste organizzare le riprese in Spagna o in Georgia, far lavorare le troupe 10 o 12 ore al giorno. C’è da capire quali attori convocare e quando, se girare più scene in contemporanea o una per volta. Netflix risolve il problema, ancora una volta, con i dati.
Gli umani fissano i constraint, la macchina mastica tonnellate di dati e restituisce dei piani di produzione dettagliati e ottimizzati. Questo permette di ridurre i costi senza intaccare la qualità del prodotto finale.
4. Netflix usa i dati per personalizzare le creatività
Vendere un film non è semplice. Diversi spettatori potrebbero avere motivi diversi per guardarlo, e questi motivi dovrebbero essere riflessi nei key visual promozionali. Tradizionalmente, questo si trasformava nelle terribili idre a nove teste che erano i manifesti dei cinepanettoni o di alcuni film d'azione, in cui tutti gli elementi di richiamo erano compresenti nella stessa immagine. Più recentemente, le produzioni hanno lavorato su varianti di poster studiate per fasce di pubblico diverse. Ma non sarebbe ancora più interessante poter sapere chi vedrà quale creatività? Netflix - ma ormai lo avete capito - fa esattamente questo.
Per ogni titolo vengono prodotti diversi key visual, legati ai diversi elementi chiave del film. Ciascun utente visualizza poi il key visual più adatto in base alle sue preferenze e abitudini. In poche parole, in base ai dati.
Questo non intacca la creatività, al contrario la indirizza in modo trasparente. Qui potete leggere nel dettaglio come funziona.
Conclusione: i dati minacciano davvero la creatività?
Se tutto questo può suonare allettante per il pubblico più techie, al tempo stesso ha un’eco inquietante per il mondo della creatività: dove andremo a finire se lasciamo che i dati decidano chi è il regista, chi è l’attore e anche dove si girano le scene? Soprattutto, dove andremo a finire se a conti fatti i dati avevano ragione?
L’esempio di Netflix, per ora, ci rassicura. Perché se è vero che le macchine fanno tanto, non sostituiscono ancora il talento umano. Lo liberano, piuttosto, da quella componente computazionale che appesantisce e spesso ostacola lo sforzo creativo.
Tutte le immagini © Netflix