Come ormai sanno tutti coloro che hanno la sfortuna di ronzarmi attorno in questo periodo, sto per partire per il Giappone. Praticamente non parlo di altro da mesi, e credo che l’argomento di conversazione non subirà variazioni a breve. Per una persona della mia generazione, nato e cresciuto in un mondo che il digitale l’aveva già fagocitato, visitare il Sol Levante è come organizzare un viaggio verso La Mecca: una tappa obbligatoria, al limite dell’esperienza religiosa.
Questo Paese è da sempre un enorme punto di riferimento tecnologico. Lo si diceva da bambini, quando si pensava che i Gundam fossero reali (e in realtà, come testimonia il gigantesco Gundam ad Odaiba, un fondo di verità c’era), e lo si pensa ancora oggi. Verrebbe quasi da etichettarli post-digital per riverenza. E questo nonostante il fortissimo legame con la tradizione che non abbandona mai questo popolo riservato, singolare, quasi impenetrabile dalle culture dei gaijin (stranieri). Insomma: provare a comunicare in inglese sarà delirante.
I videogiochi sono post-digital?
È il Paese dei videogiochi, che in un certo senso hanno precorso alcune tendenze del post-digital: ve lo ricordate il Nintendo Wii, il punto di contatto tra virtuale e reale, tra ciò che era sullo schermo e ciò che era al di là dello stesso. Alice che attraversa lo specchio e finisce nel Paese delle meraviglie. E questa contaminazione di due mondi (siete aggiornati sulle ultime tendenze della realtà virtuale?) si concretizza in un uso sempre più massiccio della realtà aumentata.
Il fenomeno di Pokémon Go, per esempio: un videogioco dove andare a cercare gli arcinoti mostriciattoli direttamente in città, al parco, al mare. Ne hanno sentito parlare tutti e qui in Italia ci è sembrato al limite della stregoneria. Mia mamma deve ancora riprendersi dallo shock di vedermi girare per casa per catturare un Pikachu.
Giappone: terra di realtà aumentata
Per quanto riguarda la realtà aumentata nel Sol Levante è stato un fiorire di esperimenti al limite della fantascienza e del buon gusto. Tenero il tentativo di abituare i bambini a leggere le notizie del giornale “dei grandi”, Tokyo Shimbun, realizzandone una versione AR che trasforma la grafica in una versione childish e sostituisce i kanji più complessi con i più semplici kana. Utilissimo il navigatore AR-MAPS che individua i punti d’interesse nelle strade giapponesi. Non male per un Paese in cui le strade non hanno un nome. La vera chiccha? Spot Message, un'app che permette di registrare clip video da visualizzare in un luogo ben preciso.
Per esempio viene utilizzata per visualizzare gli ultimi messaggi dei defunti dove sorgono le loro tombe. Giuro, non sto scherzando. Altro che post-digital, qua siamo al post-mortem.
E d’altronde il mondo giapponese è davvero vicino all’universo del digitale. Basti pensare alle Purika, cabine fotografiche dove poter alterare i propri lineamenti fino a somigliare ai personaggi dei manga. Da segnalare anche le applicazioni come Catnapper che rendono più facile la pratica dell’Inemuri, i sonnellini sulla metro, sui treni, sui mezzi pubblici. Queste app ti svegliano non appena arrivato a destinazione!
Insomma: un mondo tutto da scoprire, pieno di trovate sorprendenti a volte così assurde che sembrano arrivate da un altro pianeta, a volte così semplici e geniali da domandarsi perché noi non ci siamo ancora arrivati.
Se volete avere un’idea di quanto costa andare in Giappone, potete dare un’occhiata al vlog, sul mio canale Youtube e, già che ci siete, iscrivervi per tenervi aggiornati sui passi che mi porteranno in questo meraviglioso mondo post-digital.