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The stream of the Arkage

È finalmente il momento degli eSports

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di Francesco Gabriele

10 luglio 2019

eSports

I videogiochi con cui siamo cresciuti erano molto basici e se allora ci avessero detto che un giorno sarebbero diventati una disciplina olimpionica, probabilmente non ci avremmo creduto. Oggi, invece, potrebbe succedere davvero perché dal mondo del gaming, nel frattempo, è nato il fenomeno degli eSports: competizioni tra gamer e team di gamer che si trasformano in eventi mediatici, paragonabili a grandi eventi sportivi.

 

Ma gli eSports sono anche e soprattutto un business: si stima che entro il 2020 il loro pubblico supererà i 600 milioni di persone, principalmente millennial e GEN Z. Una visibilità  assicurata - oltre che dagli eventi - dalle piattaforme di streaming, che permettono a un pubblico mondiale di seguire le partite. Tra queste c’è Twitch, comprata da Amazon. 

 

Sempre entro il 2020, si pensa che il giro d’affari complessivo supererà il miliardo e mezzo di dollari. I migliori gamer del resto sono strapagati. Kuro Salehi Takhasomi, un ventisettenne tedesco noto come Kuroky, ha guadagnato fino ad oggi oltre 4 milioni di dollari giocando nella battle arena di Dota 2.

 

Gli altri che sperano di guadagnarci un bel po’ sono i brand. Ad esempio MasterCard, che è già entrata con forza nel mondo dei tornei di League of Legends con un’activation molto articolata. Ma anche Toyota, Puma, Chipotle, Red Bull e molti altri. Le opportunità di sponsorship sono tantissime, il profilo del pubblico davvero molto interessante per i marketer.

 

 

In Italia i brand non hanno ancora colto una grande opportunità: gli eSports, un fenomeno globale dalle audience elevatissime e gli introiti a nove zeri. Cosa manca al mercato italiano per cavalcare l’onda del successo internazionale? Nulla secondo i dati: solo un po’ di coraggio da parte delle aziende per raggiungere il grande pubblico. Chi investirà per primo su questa nuova area di business, si prenderà la fetta più grossa della torta


Gli eSports in Italia

 

Il boom del gaming non dà segni di rallentamento: con oltre 2 miliardi di gamers e un mercato da 152 miliardi di dollari (dati del 2019), i videogiochi sono ormai la prima industria dell’entertainment mondiale. Anche in Italia, dove a giocare è quasi una persona su due e gli introiti, pari a 1,8 miliardi di euro, hanno superato gli incassi dell’editoria (1,4 mld di euro) e surclassato addirittura quelli del cinema (584 milioni). 

 

Una crescita inarrestabile che vede protagonisti anche gli eSports che generano un fatturato destinato a passare da 900 milioni a 3,3 miliardi di dollari entro il 2021 (il 40% dei quali proveniente da diritti mediatici, sponsorizzazioni e advertising). 

 

Numeri significativi che descrivono la nascita di una nuova area di business estremamente florida e dal potenziale ancora inesplorato. Ma che in Italia, nonostante il terreno fertile (26 milioni di gamers e un mercato classificato come decimo al livello globale), sono in controtendenza: meno dell’8% dei videogiocatori è a conoscenza del mondo degli eSports o ne sono fan. Il motivo? La carenza di sponsorship e investimenti di alto livello che riescano a veicolare tornei ed eventi a un’audience “di massa”. 

 

Dall’America all’Asia, passando per i Paesi dell’Europa settentrionale, le aziende che puntano su questo settore non appartengono più solo al mondo della tecnologia o dell’hardware, per loro natura limitrofi e legati ai videogiochi: parliamo di giganti del calibro di Red Bull, Nike, Mercedes o McDonald’s, tanto per citarne alcuni. Non è un caso, dunque, che nel 2017 la finale del popolare gioco League of Legends abbia registrato 58 milioni di spettatori, superando sia la World Series che le finals dell’NBA, rimanendo dietro solo al Super Bowl.

 

 

Serve un cambio di mentalità (e un po’ di lungimiranza)

 

L’ecosistema italiano degli eSports è invece ad oggi una costellazione di piccoli e medi eventi principalmente mirati a una nicchia di appassionati e già fan degli eSports. Non vi è ancora stato, insomma, un serio tentativo per ingaggiare il target “mainstream” e portare all’attenzione del grande pubblico il gioco competitivo. Ciò non vuol dire però che non vi sia attività: le competizioni sono presenti e alcune sono pure collegate a quelle continentali e mondiali, ma in quanto a seguito, montepremi e importanza sono di certo secondarie. Proprio per questo motivo, per esempio, l’Italia è stata esclusa dai prossimi mondiali virtuali di calcio FIFA della Electronic Arts: l’assenza di leghe o tornei di grande dimensione ha reso di fatto impossibile far emergere possibili candidati. Una situazione comune anche ad altri giochi popolari fra gli eSports competitivi. 

 

Parte del problema della mancanza di investimenti è attribuibile al modo in cui il mondo del gaming è percepito da coloro che ne sono estranei. In Asia, Nord America e alcuni Paesi europei gli eSports sono considerati un business valido, legittimo e soprattutto pregno di opportunità, motivo per cui anche la figura del gamer professionista è accettata,  riconosciuta e presa sul serio. Così è normale assistere a brand come Red Bull, Coca Cola o Adidas che finanziano eventi con montepremi milionari e team come fossero squadre di calcio di prima fascia. In Italia, invece, il gaming competitivo è meno conosciuto, e per questo a torto sottovalutato, a dispetto di trend internazionali e dati di fatto che provano esattamente il contrario. 

 

 

Armani, Vodafone e Francesco Totti: chi ha già rotto gli indugi 

 

Ciò detto, è innegabile che un inversione di tendenza stia avvenendo anche nel nostro Paese. Ne è una testimonianza la sponsorship tecnica di Armani Exchange con il team Mkers, uno dei più importanti a livello nazionale e recentemente premiato fra le migliori start up innovative italiane. O ancora il coinvolgimento di Vodafone e Unicredit nei principali eventi oggi esistenti e persino la creazione di una lega di eSports da parte di un simbolo del calcio come Francesco Totti. Le potenzialità economiche di questo mondo vengono gradualmente recepite e la corsa per cavalcare l’onda è appena cominciata. Un salto di qualità in questo senso lo porteranno infrastrutture, organizzazioni e federazioni nazionali ormai prossime alla nascita, trascinando l’intero settore verso una nuova era sempre più professionale e credibile, sulle orme di quella degli sport tradizionali. 

 

La sensazione è che, per quanto in ritardo, il mercato italiano degli eSports stia per esplodere definitivamente. E che i primi a investire seriamente in grandi eventi di settore, portando l’enorme bacino di potenziali fan a conoscere questo mondo, si prenderanno una grossa fetta della torta

 

 

 

Dai social alle Olimpiadi: gli eSports sono la nuova frontiera dell’entertainment digitale e sportivo

 

Quello degli eSports è un campo innovativo che permea il web e i social, dai quali attinge per la stragrande maggioranza la propria fan base: giovani e giovanissimi (ma pure “granny gamers”) che consumano miliardi di ore di contenuti ogni anno online su piattaforme come Twitch e Youtube. Non esiste un target di utente tipo: si va dal giocatore incallito al casual gamer, fino al semplice appassionato, che molto spesso passa più ore a guardare contenuti che a giocare. Sono nate anche molte nuove professioni dentro e attorno gli eSports: streamers, commentatori, giornalisti, players professionisti e coach, protagonisti tutti insieme di quella che è la nuova frontiera dell’entertainment digitale e sportivo. 

 

Parallelamente, gli eSports cercano di istituzionalizzarsi attraverso format tradizionali e familiari come le Olimpiadi: nel 2018 il Comitato Olimpico Internazionale ha tenuto un forum dedicato agli eSports: un passo fondamentale verso l’inclusione definitiva nel programma olimpico, sulla scia degli ultimi Giochi di Pechino che hanno visto anche le competizioni videoludiche assegnare medaglie.

 

 

 

 

 

 

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